Migrazioni internazionali: un emigrato su cinque ha meno di 20 anni. 40mila i giovani italiani tra i 25 e i 34 anni espatriati nel 2020.

Nel 2020 le emigrazioni sono state poco meno di 160mila (-10,9% sul 2019), le immigrazioni circa 248mila (-25,6% su anno precedente) mentre la mobilità interna ha riguardato 1 milione 334mila trasferimenti (-10,2%). Sono i principali dati che emergono dalle ultime rilevazioni dell’Istat sui flussi migratori da e per l’Italia.

Un cittadino espatriato su tre, in totale 40mila, ha un’età compresa tra 25 e 34 anni: 18 mila (circa la metà) hanno una laurea o un titolo superiore alla laurea.

I primi dati provvisori riferiti al periodo gennaio-ottobre 2021 evidenziano un moderato incremento dei flussi migratori interni e di iscrizione dall’estero (rispettivamente, +7% e +16% rispetto allo stesso periodo del 2020) e una ulteriore forte riduzione dei flussi in uscita dal Paese (-21%).

Nel 2020, iscrizioni e cancellazioni anagrafiche sono state fortemente influenzate dalle limitazioni alla mobilità interna e soprattutto internazionale causate dalla pandemia. Inoltre, non si può escludere un effetto “amministrativo” dovuto al rallentamento nella lavorazione delle pratiche di trasferimento di residenza da parte dei Comuni anche per le difficoltà di verifica sul territorio.

La pandemia non ferma la migrazione degli italiani all’estero. Nel 2020 il volume delle cancellazioni anagrafiche per l’estero è di circa 160mila unità e segna un forte calo (-10,9% sul 2019) soprattutto per la riduzione, di circa un terzo, delle emigrazioni di residenti non italiani. Gli espatri dei cittadini italiani (pari a 120.950) diminuiscono soltanto dello 0,9%.

L’impatto della pandemia sui flussi in uscita dal Paese è riconducibile tanto all’effetto diretto delle restrizioni alla mobilità internazionale, attuate per contrastare la diffusione del virus, quanto al clima di incertezza e difficoltà che può aver impattato negativamente sui progetti migratori. Gli effetti congiunturali sono evidenti. Nei primi due mesi del 2020, le cancellazioni anagrafiche verso l’estero mostrano un andamento in linea con le tendenze più recenti: ossia un incremento del 26,3% rispetto allo stesso bimestre del 2019, dovuto soprattutto ai trasferimenti verso i paesi dell’Unione europeai (+43,4%) e di America e Oceania (+47%), una decisa diminuzione dei flussi verso l’Africa (-53%) e, in misura minore, verso l’Asia (-7,8%).

Nella fase di transizione (giugno-settembre 2020) si riducono lievemente le uscite rispetto ai livelli medi del 2019 (-4,6%), grazie alla ripresa delle emigrazioni verso i paesi Ue (+7,3%), mentre continuano a diminuire le emigrazioni verso l’Africa (-50%). La seconda ondata (ottobre-dicembre 2020) provoca una nuova contrazione dei flussi in uscita, ma in misura meno marcata (-21,8% rispetto allo stesso periodo del 2019) della prima ondata.

Per consentire la comparabilità dei flussi migratori nel periodo in esame, si assume che il Regno Unito continui a far parte dell’Unione europea anche nel 2020, anno in cui invece esce definitivamente dall’aggregato.

Dal Nord del Paese oltre la metà degli emigrati italiani. Nell’ultimo decennio si è registrato un significativo aumento delle cancellazioni anagrafiche di cittadini italiani per l’estero (emigrazioni) e un volume di ingressi che non bilancia le uscite (complessivamente 980mila espatri e 400mila rimpatri). Di conseguenza i saldi migratori con l’estero dei cittadini italiani sono negativi, soprattutto a partire dal 2015, con una media di 69mila unità in meno all’anno. Nel 2020 il saldo migratorio con l’estero degli italiani è negativo per 65.190 unità.

Nonostante la pandemia, nel 2020 il flusso più consistente di cancellazioni per trasferimento della residenza all’estero di cittadini italiani si è registrato nel Nord-ovest (36mila, +10% rispetto al 2019), seguito dal Nord-est (27mila, +2%); in aumento anche le emigrazioni in partenza dal Centro (20mila, +4%), mentre diminuiscono sensibilmente i flussi dal Mezzogiorno (39mila, -13% rispetto al 2019).

Rispetto al 2019 la propensione a espatriare dei cittadini italiani residenti nel 2020 è stabile ed è pari a 2,2‰. I tassi di emigratorietà sono sopra la media nazionale al Nord (2,6 espatri su 1.000 residenti italiani) e sotto la media al Centro e nel Mezzogiorno del Paese (2‰). La distribuzione degli espatri per regione di provenienza è eterogenea.

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Il tasso di emigratorietà più elevato si ha in Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Trentino-Alto Adige (in una posizione geografica di confine che facilita gli spostamenti con l’estero) e Molise (più di tre italiani per 1.000 residenti). Seguono Marche, Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna (tassi di circa 2,5‰).

Le regioni con il tasso di emigratorietà per l’estero più basso sono invece Puglia e Lazio (valori pari a circa 1,5‰). A livello provinciale, i tassi più elevati di emigratorietà degli italiani si rilevano a Bolzano/Bozen (4‰), Mantova, Vicenza e Macerata (tutte 3,6‰), Imperia, Isernia e Treviso (tutte 3,2‰); quelli più bassi si registrano nelle province di Foggia e Barletta-Andria-Trani (1,2‰).

Paesi europei ancora attrattivi nonostante la pandemia. A fronte della lieve contrazione delle emigrazioni, il flusso degli italiani verso i principali paesi dell’Ue si mantiene consistente e non subisce grosse variazioni. Non si arrestano le partenze degli italiani verso il Regno Unito (36mila, +18% rispetto al 2019) mentre quelle verso la Germania rallentano ma restano numerose (17mila, -12%). Aumentano gli espatri verso il Belgio (2,7mila, +15%), rimangono pressoché stabili quelli verso la Francia (13mila, +1,6%), la Spagna (6mila, -1,8%) e i Paesi Bassi (2,7mila, +0,6%). Si riducono molto, al contrario, i flussi con destinazione extra-europea, ad esempio verso il Brasile calano del 30% (5,6mila) e verso la Cina del 25% (poco più di 500 espatri).

Le limitazioni imposte ai trasferimenti con l’estero hanno provocato anche una riduzione delle emigrazioni dei cittadini italiani di origine stranierai. Sono cittadini nati all’estero che emigrano in un paese terzo o fanno rientro nel luogo di origine dopo aver trascorso un periodo in Italia e aver acquisito la cittadinanza italiana. Le emigrazioni di questi “nuovi” italiani, nel 2020, ammontano a poco più di 33mila (28% degli espatri, -8,7% rispetto al 2019). Di questi, uno su tre è nato in Brasile (circa 10mila), il 9,5% in Marocco, il 6% in Pakistan, il 5% in Bangladesh, Argentina e India.

I Paesi europei si confermano le mete principali anche degli espatri dei “nuovi” italiani (76% dei flussi degli italiani nati all’estero). In particolare, con riferimento al collettivo dei connazionali diretti nei paesi europei, si osserva che il 19% è nato in Brasile, il 12% in Marocco, il 7% in Pakistan e il 6% nel Bangladesh. Ancora più in dettaglio, i cittadini italiani di origine africana emigrano perlopiù in Francia (50%), quelli nati in Asia nella stragrande maggioranza si dirigono verso il Regno Unito (91%) così come, ma in misura molto più contenuta, i cittadini italiani nativi dell’America Latina (51%); quelli nati in un paese dell’Ue invece emigrano soprattutto in Germania (28%).

I rimpatri di italiani dal Regno Unito. Il flusso di emigrati verso il Regno Unito registra anche nel 2020 la cifra record di 39mila cancellazioni anagrafiche (+44% sul 2019), dei quali oltre 36mila sono cittadini italiani. Gli emigrati verso il Regno Unito aumentano nel 2016, anno in cui è stato avviato il processo di uscita del Paese dall’Ue, con un picco di 27mila cancellazioni anagrafiche, soprattutto espatri.

Durante il cosiddetto “periodo di transizione” che si è concluso con la Brexit (il 31 dicembre 2020), molti dei cittadini italiani, verosimilmente già presenti nel territorio britannico ma non registrati come abitualmente dimoranti, hanno ufficializzato la loro posizione trasferendovi la residenza. A fronte di uscite così numerose, probabilmente regolarizzazioni, non è mai seguito un significativo numero di rientri in Italia fino al 2020, anno in cui si registrano circa 15mila iscrizioni in anagrafe di cittadini provenienti dal Regno Unito, di cui 10mila sono rimpatri di italiani: flusso più che doppio rispetto al 2019 e più che triplo sul 2015.

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Un italiano emigrato su quattro ha almeno la laurea. Nel 2020 gli italiani espatriati sono soprattutto uomini (54%), ma fino ai 25 anni non si rilevano forti differenze di genere (20mila per entrambi i sessi) e la distribuzione per età è perfettamente sovrapponibile. A partire dai 26 anni fino alle età anziane, invece, gli emigrati iniziano a essere costantemente più numerosi delle emigrate: dai 75 anni in poi le due distribuzioni tornano a sovrapporsi. L’età media degli emigrati è di 32 anni per gli uomini e 30 per le donne. Un emigrato su cinque ha meno di 20 anni, due su tre hanno un’età compresa tra i 20 e i 49 anni mentre la quota di ultracinquantenni è pari al 14%.

Considerando il livello di istruzione posseduto al momento della partenza, nel 2020 un italiano emigrato su quattro è in possesso almeno della laurea (31mila). Rispetto all’anno precedente, le numerosità dei laureati emigrati è in lieve aumento (+5,4%). L’incremento è molto più consistente se si amplia lo spettro temporale: rispetto a cinque anni prima gli emigrati con almeno la laurea crescono del 17%.

Sono poco più di 40mila i giovani italiani tra i 25 e i 34 anni espatriati nel 2020 (il 33% del totale degli espatriati); di essi due su cinque (18mila) sono in possesso di almeno la laurea (+10% rispetto al 2019). Il numero dei rimpatri di giovani laureati si attesta su livelli nettamente più bassi (6 mila, -3,5% sul 2019), generando un saldo migratorio negativo che si traduce in una perdita di circa 12 mila unità. La riduzione degli espatri nel 2020 rispetto al 2019 (-0,9%) ha ridotto l’emigrazione giovanile del 7%, ma la quota dei laureati sul totale dei giovani espatriati è passata dal 38,7% del 2019 al 45,6% del 2020.

Cresce anche l’incidenza degli espatriati laureati sulla popolazione italiana laureata di 25-34 anni, dal 9,9‰ del 2019 al 10,5‰ del 2020. Non si arresta, dunque, la fuga delle giovani risorse qualificate verso l’estero, nonostante le limitazioni imposte agli spostamenti durante le varie fasi della pandemia.

In aumento i rimpatri dai principali Paesi dell’Unione europea. Nel corso del 2020 le migrazioni provenienti dall’America centro-meridionale subiscono il calo più brusco rispetto al 2019 (-48,9%): il flusso di provenienza da Brasile, Argentina e Venezuela (costituito in larga parte da cittadini italiani o con discendenza italiana) è più che dimezzato e passa da 42mila immigrazioni del 2019 a poco meno di 17mila nel 2020 (-60%).

Considerevole anche il calo degli ingressi dai Paesi asiatici (-33%): il flusso di immigrati da India e Cina si dimezza rispetto all’anno precedente (rispettivamente 7mila e 6mila ingressi); significative anche le riduzioni per i flussi provenienti dal Bangladesh (8mila, -40%). Le immigrazioni dai Paesi africani, già in calo dal 2019, subiscono una riduzione più contenuta (-28%), ma diminuiscono soprattutto le provenienze dalle rotte migratorie più antiche e tradizionali verso l’Italia: dal Marocco si registrano circa 13mila ingressi (-43%), dall’Egitto 6mila (-40%) e dalla Tunisia 4mila (-33%).

L’immigrazione dai Paesi europei mostra invece dinamiche variegate: si riduce del 34% dalla Romania (26mila iscrizioni dall’estero), da anni principale paese di provenienza, mentre si registrano variazioni positive rispetto all’anno precedente per la maggioranza degli altri Paesi Ue. Il numero di ingressi quasi raddoppia dal Regno Unito (14,5mila, +89%), aumenta del 37% dalla Germania (9,7mila) e del 35% dalla Svizzera (5,5mila). Si osservano variazioni positive in ingresso anche per Francia (5,4mila, +21%) e Spagna (5mila, +24%), ma in questi casi si tratta perlopiù di rimpatri di cittadini italiani.

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I rientri in patria, complessivamente 55.760 nel 2020, sono in generale calo (-18,2% rispetto al 2019). Tuttavia, per alcune provenienze il numero di rimpatri è significativo rispetto al periodo precedente la pandemia.

Ai primi posti della graduatoria per provenienza si trovano, Regno Unito (9,6mila ingressi, +149%), Germania (7,7mila, +57%) e Svizzera (4,8mila, +44%) che, insieme, originano complessivamente il 40% dei rimpatri. Sono numerosi anche i rientri da Francia (3,3mila, +62%) e Spagna (3mila, +78%). Tra le provenienze extra europee da segnalare i cospicui rientri dagli Stati Uniti (3,4mila, +79%) e il raddoppio dei rimpatri dagli Emirati Arabi (1,2mila, +107%).

Tutte le province del Mezzogiorno riducono la perdita netta di popolazione. I saldi migratori interni evidenziano la perdita o il guadagno di popolazione dovuti ai trasferimenti di residenza da una regione all’altra. In termini relativi i saldi migratori per 1.000 residenti più elevati si hanno in Emilia-Romagna e nella provincia autonoma di Trento (+3‰), quelli più bassi in Basilicata (-4,6‰), Calabria (-4,4‰), e Molise (-3,6‰). In generale, le regioni del Centro-nord mostrano saldi netti positivi o prossimi allo zero; viceversa, quelle del Mezzogiorno riscontrano tutte perdite nette di popolazione.

La provincia del Mezzogiorno da cui si registrano più partenze verso il Centro-nord è Napoli in termini assoluti (15% del totale delle partenze) mentre Crotone ha il tasso di emigratorietà più elevato: 11 residenti su 1.000 si spostano al Centro-nord. Viceversa, la provincia centro settentrionale più attrattiva è Bologna (6‰).

Il contingente di emigrati meridionali che abbandonano la terra di origine per stabilirsi in una regione del Centro o del Nord è composto prevalentemente da giovani in età attiva. Nel 2020, quasi due immigrati su cinque hanno un’età compresa tra 25 e 34 anni. Sulla rotta inversa questa quota si riduce a uno su cinque.

Il Centro-nord “recupera” giovani laureati con gli arrivi dal Mezzogiorno. Negli ultimi dieci anni, il 41% dei cittadini italiani di 25-34 anni partiti dal Mezzogiorno verso il Centro-nord sono in possesso di almeno la laurea; uno su tre, invece ha il diploma. Nello stesso periodo, tuttavia, sono aumentati anche gli espatri soprattutto di giovani con un titolo di studio universitario. Le giovani risorse qualificate provenienti dal Mezzogiorno costituiscono dunque una fonte di capitale umano per le aree maggiormente produttive del Nord e del Centro del Paese e per i Paesi esteri.

Dal 2011 al 2020 gli espatri di giovani laureati sono sempre stati quantitativamente superiori ai rimpatri e hanno prodotto, per ciascuna ripartizione, un saldo migratorio con l’estero negativo. La perdita complessiva di giovani risorse del Nord a favore dell’estero ammonta a circa 36mila unità, quella del Centro è di circa 12mila mentre quella del Mezzogiorno è di oltre 26mila unità in tutto il periodo considerato. A fronte di queste significative perdite, il Nord e il Centro riescono a compensare in buona parte le uscite verso l’estero grazie ai movimenti migratori provenienti dal Mezzogiorno.

Sempre tra il 2011 e il 2020 il Nord guadagna oltre 112mila giovani risorse provenienti dal Sud e dalle Isole, il Centro oltre 12mila. Ne deriva che il beneficio complessivo per le regioni settentrionali è pari a circa 76mila unità; il Centro recupera parzialmente e limita la perdita a circa 737 unità; le uscite dal Mezzogiorno verso l’estero e verso le altre regioni d’Italia, invece, determinano una perdita complessiva di oltre 150mila giovani residenti laureati. Cedendo risorse qualificate senza riceverne altrettante, il Mezzogiorno vede compromesse le proprie possibilità di sviluppo.

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