Benedetta De Luca, l’influencer che parla di diritti e inclusione a colpi di stories.

Benedetta De Luca, classe 1987, originaria del salernitano, è una giovane influencer, da poco abilitata alla professione di avvocato. Nata con una malformazione congenita rara – la sequenza (o sindrome) da regressione caudale, una patologia che colpisce le ultime vertebre della colonna vertebrale, coinvolte nello sviluppo dell’addome e degli arti inferiori – Benedetta, tra le poche disability model italiane, si è raccontata ai microfoni di malattierare.gov.it

 In Italia sei una delle poche, se non l’unica influencer che parla di moda inclusiva.

“Sì, attualmente ci sono diverse persone che trattano il tema dell’inclusione e dell’empowerment di persone portatrici di disabilità o malattie rare, io sono una delle poche”.

 Come è iniziata la tua avventura sui social?

“Inizialmente postavo foto abbastanza comuni: non mostravo i miei difetti, utilizzavo dei filtri per modificare il mio aspetto: levigavo la mia pelle, non mostravo i “rotolini”, nascondendo anche la mia disabilità, era un po’ come un universo parallelo dove potevo essere chiunque. Ho capito che stavo sbagliando: che non era giusto, prima di tutto per me stessa. Ho cominciato a raccontare sempre di più la “vera” Benedetta, a mostrare chi ero, con le smagliature e anche con la sedia a rotelle o le stampelle, questa cosa mi ha premiata, oggi ho una community che conta 122.000 followers. Le cicatrici che abbiamo fanno parte di noi e sia donne che uomini hanno il diritto di sapere che non sono sbagliati solo perché non aderiscono alla norma”.

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Questo traguardo ti ha portato anche tanta visibilità, recentemente sei stata ospite sia al festival del cinema di Venezia che a quello di Roma in cui sei stata premiata con il premio di “Uno sguardo raro in rosa” come personaggio femminile dell’anno. A proposito di moda, di chi era quel meraviglioso abito che sfoggiavi sul red carpet?

“Mio! – ride – nel 2020, dopo diversi anni, ho deciso di lanciare la mia linea: Italian Inclusive Fashion, il cui debutto è avvenuto all’interno di un noto programma televisivo”.

 Come è nata questa idea?

“Siamo abituati ad immaginare una persona sulla sedia a rotelle sempre in tuta, mai vestita elegante, come se vestirsi bene sia esclusivo appannaggio di persone che non hanno alcun tipo di disabilità. Io ho sempre desiderato potermi prendere cura di me stessa come volevo e di poter apparire al meglio senza dover rinunciare alla mia femminilità, d’altra parte, attualmente i brand di moda non producono vestiti pensati per persone che devono stare sedute a lungo su una sedia a rotelle, ci sono un sacco di dettagli che possono diventare un ostacolo: un tessuto poso traspirante o molto scivoloso, o le paillettes messe nei punti sbagliati di un capo possono essere veramente poco confortevoli e creare diversi disagi. Per questo ho deciso di dare vita ad una mia linea che tenesse conto di tutte le esigenze del caso senza rinunciare all’eleganza e allo stile”.

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Ma la moda inclusiva non è l’unico ambito in cui lavori, sei laureata in giurisprudenza e da poco hai sostenuto l’esame di avvocatura. Quanto conta avere figure professionali che si occupino di tutelare persone fragili e che ne condividano allo stesso tempo le problematiche e i bisogni come nel caso dei malati rari o delle persone disabili?

“È essenziale: anche la mia tesi di laurea era incentrata sui diritti delle persone disabili all’interno del Diritto Costituzionale. Sarei propensa ad orientare la mia carriera verso questo ramo, anche se per ora non ho ancora le idee chiare su quale sarà il mio futuro, sono in una fase transitoria, ma se dovessi scegliere di fare l’avvocato, alla luce di tutte le discriminazioni e le ingiustizie subìte cercherei di aiutare chi ne ha bisogno attraverso la mia professione. Non sono la regina del foro, ma nel mio piccolo… – Scherza – ”.

 C’è un elemento che caratterizza le discriminazioni che subisce una persona disabile in quanto donna?

“Sicuramente, mi è capitato molte volte di ascoltare storie di multidiscriminazione, un esempio tipico riguarda il mondo del lavoro: molte aziende, superata una certa dimensione, sono soggette ad acquisire personale con disabilità, nel caso di molte donne disabili mi è capitato di sentire che queste ragazze venivano invitate a restare a casa perché all’azienda interessava solo coprire quel posto di lavoro per aderire alla legge. È come dire ad una donna “non servi a nulla”. Senza dubbio la stessa cosa accade anche a molti uomini e ragazzi ed è profondamente ingiusto in quanto favorisce la marginalizzazione delle persone disabili”.

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Dal punto di vista personale invece?

 “Si tende a pensare che una donna con disabilità non sia femminile come qualsiasi altra”.

Effettivamente il fatto che tu faccia notizia per la tua bellezza come se fosse una cosa eccezionale è già di per sé pregiudicante…

“Esatto! Quando smetteremo di stupirci per aver visto una persona di aspetto gradevole sulla sedia a rotelle come se fosse un unicum allora potremmo dire di aver fatto un passo avanti. È assurdo pensare che persone come me debbano ancora essere oggetto di pietismo o che ci sia gente che pensi che non possiamo essere mamme o papà generando le nostre famiglie e vivendo la nostra vita liberamente secondo l’immaginario collettivo. Preferire che le persone fossero più attente a mostrare rispetto attraverso le azioni del quotidiano, non parcheggiando sul posto dei disabili o davanti ad una rampa per far scendere la carrozzina”.

fonte e foto https://www.malattierare.gov.it/