L’equivoco tra scienza e politica nell’epoca della pandemia

La scienza, come è noto, si occupa di elaborare ipotesi e previsioni, non di predire il futuro. Di tali ipotesi e previsioni la politica deve tenere conto al momento di prendere decisioni le cui conseguenze ricadono su milioni di persone. Questa drammatica contingenza, tuttavia, ha evidenziato un notevole punto critico nel rapporto tra politica e scienza.

Ai medici si imputa spesso di prendere in considerazione soltanto la parte del corpo oggetto della loro specializzazione, disinteressandosi del quadro clinico d’insieme. Ci pare che ciò avvenga con intere nazioni nel momento in cui gli scienziati invocano chiusure e restrizioni indiscriminate che hanno conseguenze pesantissime per l’economia e la società. Tuttavia, se tale approccio può essere oggetto di biasimo nell’esercizio della professione medica non può esserlo nella gestione di una crisi globale. È alla politica non ai medici che spetta elaborare, anche a costo di rischi, una strategia che, mettendo al primo posto l’incolumità dei più vulnerabili, contempli tutte le dinamiche di società complesse come le nostre.

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Stare in casa finché tutto non passa è accettabile nel breve periodo. Nel lungo diventa lungimirante quanto lo sarebbe ridurre le emissioni di co2 chiudendo da un giorno all’altro tutte le attività produttive e proibendo l’uso delle automobili. Certo, i risultati sarebbero immediati, ma se è questo ciò che vogliamo, prepariamoci ad affrontare la prossima pandemia con ventilatori polmonari azionati a pedali. Se invece non lo vogliamo poniamoci fin d’ora un interrogativo: cosa fare se, in attesa di un vaccino, l’epidemia dovesse continuare o ripresentarsi? Riteniamo sia compito dei politici rispondere a questa domanda, non degli scienziati. A loro i politici dovranno chiedere consigli su quali provvedimenti adottare per limitare il contagio non per quanto tempo costringere le persone a restare chiuse in casa.  

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