Giovani storie sarde: Antonio, il formatore europeo.
Sardegnagol inaugura “Giovani storie sarde”, una rubrica dedicata agli under 40 della nostra Isola che si distinguono nel mondo delle professioni, della cultura e dell’impresa. Settimana dopo settimana conosceremo i giovani sardi che, rifiutando pessimismo e rassegnazione, danno vita ad alcune delle più belle eccellenze della nostra Regione. Oggi incontriamo Antonio Martis, 29 anni di Decimomannu, professionista della progettazione europea e della formazione.
Ogni anno migliaia di giovani europei partecipano ad attività di formazione e volontariato all’estero nell’ambito di un settore che prende il nome di mobilità culturale internazionale. Esperienze di grande impatto che si svolgono al di fuori dei percorsi scolastici universitari e permettono di acquisire competenze fondamentali per il lavoro e la cittadinanza. Spina dorsale di questo mondo dinamico e variegato sono i “trainer”, sorta di formatori il cui ruolo è realizzare materialmente le attività.
Antonio è un trainer; per la precisione uno di più attivi in Italia. Grande appassionato di musica, ottimo calciatore (su di lui mise gli occhi il Torino), organizzatore di eventi, la sua è una vita di continui spostamenti da un punto all’altro dell’Europa e oltre, a contatto con persone di ogni provenienza. Lo abbiamo incontrato per conoscere più da vicino la sua professione e, in generale, il mondo della mobilità culturale internazionale.
Quale è stata la tua prima esperienza nel mondo della mobilità giovanile?
La mia prima esperienza è stata un corso di formazione sui diritti umani in Albania, a Valona, nel 2011. Lì mi si sono aperte le porte di un mondo per me del tutto nuovo. È stato tuttavia durante il periodo di servizio volontario europeo (un’azione di volontariato internazionale promosso dall’Unione Europea ndr.) in Portogallo, qualche tempo dopo, che ho capito che quella sarebbe stata la mia strada.
Coach, insegnante, esperto, che cosa è esattamente un trainer?
Il trainer è una sintesi di queste figure. Molto dipende dal target di riferimento delle attività in cui è coinvolto: se lavora con giovani il trainer è da considerarsi più come uno “youth worker”, vale a dire animatore e facilitatore. Se le attività sono rivolte a un pubblico adulto prevale il ruolo di esperto e insegnante. In generale, considerando che le attività coinvolgono persone di differenti nazionalità e background, il trainer deve sempre essere un comunicatore, perché favorisce l’interazione tra i partecipanti, e un coach perché li motiva al raggiungimento degli obiettivi.
Chi sono i tuoi “studenti”?
I miei studenti, se vogliamo chiamarli cosi, sono innanzitutto giovani dai 16 ai 30 anni, in gran parte provenienti da fasce del disagio, che nella mobilità culturale internazionale vivono le loro prime esperienze di formazione e crescita. Vi sono poi altri “youth workers” ai quali, da trainer, trasmetto competenze specifiche sulla progettazione e sulla realizzazione delle attività. Il tutto in un’ottica di scambio di buone prassi.
Quali sono gli argomenti che tratti più di frequente?
Ultimamente l’educazione all’uso consapevole degli strumenti di comunicazione online con tutto ciò che ne consegue: contrasto al cyberbullismo, alla diffusione delle fake news e all’analfabetismo digitale. Autentiche piaghe sociali dei giorni nostri. Mi occupo inoltre di educazione all’imprenditorialità, con un occhio di riguardo all’impresa sociale, e della promozione dei diritti umani. In generale, a prescindere dall’argomento, cerco di trasmettere ai ragazzi la consapevolezza dell’importanza del pensiero critico. Qualsiasi cosa faranno delle loro vite, il pensiero critico potrà sempre essere una bussola che li aiuterà a orientarsi nelle loro scelte.
Quanto è cambiata la tua vita da quando hai iniziato a girare il mondo per lavoro?
Totalmente. Viaggiare per lavoro, in particolare per questo lavoro, ha fatto di me una persona diversa. Andare in luoghi dei quali non avevo neanche sentito parlare, conoscere persone dai vissuti incredibili, confrontarmi con situazioni impreviste, mi ha reso più aperto e consapevole. Oggi Il mio modo di vedere le cose, cosi come il mio approccio a esse, è del tutto differente rispetto al passato. Da un punto di vista pratico, ormai la mia vita è fatta di continui spostamenti in aereo e questo è il lato meno romantico dell’intera faccenda.
Riesci a visitare i luoghi in cui lavori?
Trattandosi di viaggi di lavoro, l’aspetto turistico passa per forza di cose in secondo piano. Le nostre attività iniziano la mattina presto e si concludono a sera inoltrata. Delle volte per fortuna capita di riuscire a ritagliarsi uno spazio per visitare i luoghi che ci ospitano.
Sei un attento conoscitore della scena musicale e artistica contemporanea. Qual è il Paese che da questo punto di vista consiglieresti ai nostri lettori?
Sicuramente il Regno Unito, che dagli anni 60 in poi è stato il centro a livello mondiale di avanguardie, sperimentazioni e contaminazioni. Sia per quel che riguarda il rock, il punk e il post punk che, in tempi più recenti, per la musica elettronica. Ultimamente la scena britannica si è un po’ appannata ma rimane sempre un punto di riferimento imprescindibile per band e produttori. Un altro Paese è il Portogallo, dove possiamo trovare degli spunti interessanti nell’ambito della World Music.