3 milioni di Neet e aziende in cerca di profili professionali. Il paradosso italiano.
Come rilevato dalle principali statistiche, in Italia il numero dei Neet, i famosi giovani non impegnati nello studio, lavoro e percorso formativo, è arrivato a sfondare quota 3 milioni. Un primato – a onor del vero poco invidiabile all’interno dell’UE – reso più paradossale alla luce della crisi per il reclutamento di risorse umane per le aziende italiane, come ricordato dal presidente dell’INAPP, Sebastiano Fadda, durante il salone Job&Orienta: “Abbiamo più di 3 milioni di Neet e la dispersione scolastica nel Paese è in crescita. Quasi il 25% degli studenti ha abbandonato la scuola o l`ha terminata senza acquisire le minime competenze di base. Bisogna interrogarsi su come migliorare la partecipazione dei giovani ai processi formativi e ridurre il mismatch tra istruzione e domanda di lavoro”.
Temi importanti sui quali, ascoltando le recenti dichiarazioni del ministro dello Sport e dei Giovani, Andrea Abodi, dove lo spazio per la discussione sulla questione giovanile è stato praticamente inesistente, difficilmente si riuscirà a fare il punto a stretto giro. E, al momento, neanche dal Ministero del Lavoro sembra arrivare alcuna soluzione disruptive.
Eppure i recenti dati Inapp , contenuti nel Rapporto 2022, mostrano come siano ancora pochi i giovani impegnati nella filiera della formazione professionale, il sistema di formazione che punta a fornire risposte collegate ai fabbisogni di professionalità espressi dalle imprese e dai territori: circa 250mila gli iscritti ai quattro anni della IeFP, di cui quasi 38mila partecipano a corsi in modalità duale. Scarso anche l’utilizzo dello strumento dell’apprendistato, con poco più di 531mila rapporti di lavoro nel 2020.
Tra i 15 e i 64 anni, ancora, solo il 39,8% possiede la licenza media e circa il 27,6% tra i 30-34enni ha conseguito un titolo di studio terziario. Insomma, siamo lontani in Italia dalla media UE del 40,4%.
Servirebbe, quindi, una seria terapia d’urto per il rafforzamento del cosiddetto capitale umano per Fadda: “Dobbiamo concepire i servizi di orientamento non più solo come mera assistenza a soggetti in difficoltà, ma come strumento di politica attiva del lavoro. E’ inevitabile cambiare l’approccio dell’orientamento, a partire dalla necessità di offrire adeguati servizi di sostegno ai giovani per aiutarli a costruire e realizzare progetti formativi e di vita lavorativa in grado di coniugare i loro talenti e le loro aspirazioni”.